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NUMERO 17
DICEMBRE 2023

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DICEMBRE 2023

Tra rugby e football americano la rivincita degli sport “minori”

Rocco Ferrari, medico sportivo delle Zebre, e Moreno Fabbrica, presidente dei Redskins, raccontano il mondo della palla ovale. Spirito di squadra, disciplina e alta preparazione atletica. Ma quando il gioco si fa duro, vengono in aiuto i tutori Fgp.

intervistati pezzo portanteNon di solo calcio vive l’uomo, benché in Italia da due secoli questo sia lo sport nazionale. Il più praticato, tifato, e perciò anche il più raccontato dai media. Solo un dato per inquadrare il fenomeno: secondo l’ultimo rapporto Eurispes (2021), a livello dilettantistico e giovanile corrono dietro alla palla a esagoni ben 4,6 milioni di italiani, un under 35 ogni tre. Eppure, negli ultimi anni, la religione del pallone sta lasciando un po’ di posto a quelli che finora sono stati definiti “sport minori”, alcuni di nicchia. Interesse crescente stanno riscuotendo la pallavolo e la pallacanestro, che nel nostro Paese si giocano il secondo posto nella classifica delle discipline di squadra, entrambi con un numero di praticanti compreso fra 500mila e un milione, secondo i dati del Coni.

Ancora non godono della stessa rivincita, invece, altri nobili sport, come quello della palla ovale. Secondo l’ultimo dossier di World Rugby, datato 2019, in Italia ci sono circa 80mila tesserati, a fronte di 96mila praticanti totali. La Federazione (Fir) ha saputo aprire le porte del prestigiosissimo torneo delle Cinque Nazioni, diventato appunto delle Sei Nazioni con l’ingresso dell’Italia nel 2000. Ma, dopo il momento di gloria, il mancato consolidamento del pubblico nuovo e meno esperto, unitamente al calo dei risultati della Nazionale, ha causato un drastico ridimensionamento del movimento.

Oggi, il rugby va sempre forte in regioni dove ha saputo costruirsi una tradizione, soprattutto al Nord, mentre nel resto del Paese è tornato a essere poco diffuso. Minore diffusione, però, non significa zero risultati. Un esempio è rappresentato dalle Zebre, il club di Parma che milita nello United Rugby Championship (Urc), il campionato interconfederale, molto celebre nel mondo anglosassone, con le migliori squadre gallesi, irlandesi, scozzesi e sudafricane; unica in Italia insieme alla Benetton di Treviso. Ci racconta quest’esperienza Rocco Ferrari, medico dello sport delle Zebre: «Il rugby è una disciplina altamente educativa per i ragazzi. Nel gioco, la squadra può procedere verso la meta solo grazie al pronto sostegno dei compagni. Questo insegna la collaborazione e la solidarietà: dentro e fuori dal campo», esordisce. Caratteristica principale – in un certo senso, il bello – del rugby è anche la sua fisicità, tradotta in azioni adrenaliniche e molto muscolari: la mischia, la touche, i placcaggi. Partite spettacolari, ma anche… ad alto rischio. È per questo che gli atleti della squadra traggono beneficio dall’utilizzo, sia preventivo sia post-infortunio, di tutori come il supporto per la spalla Act-100, la linea Fullfit e la ginocchiera elastica con anello rotuleo in silicone.

«La casistica degli infortuni è giocoforza maggiore nel rugby rispetto ad altre discipline», spiega ancora Ferrari. «Non tanto nel settore giovanile, quanto nelle categorie maggiori, dove la stazza dei giocatori diventa importante. In questo senso», prosegue, «per noi, i tutori sono presidi fondamentali, sia a livello preventivo sia durante il recupero da un infortunio». Le parti del corpo più colpite sono le ginocchia, le caviglie, le spalle e le mani: «Ovviamente, la preparazione stessa mira a potenziare i due elementi che consentono una maggiore resistenza: equilibrio e forza. Durante le partite tradizionalmente si usano le fasciature; ma i tutori permettono di affrontare con più serenità gli allenamenti. I match», relaziona il medico, «recano con sé in media tre o quattro infortuni. Fortunatamente», sottolinea, «non sempre si tratta di traumi che necessitano poi di intervento chirurgico. Diversi giocatori, una volta superata la fase acuta, continuano a portare il tutore per una maggiore sicurezza. L’utilità è indiscussa».

Ancor più particolare è l’american football: uno sport che giunge dall’altra parte dell’oceano e si diffuse in Italia negli anni Ottanta, grazie ai tornei fra le basi militari americane. A Verona, vanta 42 anni di storia il club dei Redskins, come racconta il presidente Moreno Fabbrica. «In quel primo periodo d’oro, in Italia ci fu un’ondata di entusiasmo per l’originalità e il “colore” di questa disciplina», ricorda. «Alcuni locali trasmettevano perfino le partite dei campionati americani. In seguito, l’interesse andò smorzandosi. La gente desidera ciò che vede; e se uno sport è poco visibile è anche penalizzato». «Eppure noi siamo attivi da un quarantennio, con oltre settanta ragazzi», puntualizza Fabbrica.
«Partiamo dalla categoria Under 15, che è ancora mista. Abbiamo avuto una squadra femminile che, per tre campionati di fila, nel 2004, 2005 e 2006, ci ha regalato la vittoria nazionale. Poi l’Under 18 e Under 21, con cui ci siamo aggiudicati la Coppa Italia, e infine i Senior». «È uno sport “pittoresco”, dal sapore americano, che esercita una prima attrattiva grazie alla vestizione con i caschi e le spalliere. Ed è anche una disciplina che regala legami fortissimi fra compagni di squadra. Ma», prosegue il presidente, «si deve superare lo scoglio dello scontro fisico. Che non è contatto; è proprio collisione». «Tuttavia, proprio in ragione delle protezioni, i contrasti non sono così cruenti come appaiono. Gli infortuni, che comunque si verificano, sono stiramenti e distorsioni; nei casi peggiori, la lesione dei legamenti. Conosciamo i punti di forza e di debolezza di ogni nostro giocatore e agiamo in maniera cautelativa, con la preparazione atletica e con i presidi sanitari». «Perciò», conclude, «per noi sono molto importanti i tutori: non solo nella fase di recupero post-traumatica, ma anche in ottica preventiva».

Tra rugby e football americano la rivincita degli sport “minori”

Rocco Ferrari, medico sportivo delle Zebre, e Moreno Fabbrica, presidente dei Redskins, raccontano il mondo della palla ovale. Spirito di squadra, disciplina e alta preparazione atletica. Ma quando il gioco si fa duro, vengono in aiuto i tutori Fgp.

intervistati pezzo portanteNon di solo calcio vive l’uomo, benché in Italia da due secoli questo sia lo sport nazionale. Il più praticato, tifato, e perciò anche il più raccontato dai media. Solo un dato per inquadrare il fenomeno: secondo l’ultimo rapporto Eurispes (2021), a livello dilettantistico e giovanile corrono dietro alla palla a esagoni ben 4,6 milioni di italiani, un under 35 ogni tre. Eppure, negli ultimi anni, la religione del pallone sta lasciando un po’ di posto a quelli che finora sono stati definiti “sport minori”, alcuni di nicchia. Interesse crescente stanno riscuotendo la pallavolo e la pallacanestro, che nel nostro Paese si giocano il secondo posto nella classifica delle discipline di squadra, entrambi con un numero di praticanti compreso fra 500mila e un milione, secondo i dati del Coni.

Ancora non godono della stessa rivincita, invece, altri nobili sport, come quello della palla ovale. Secondo l’ultimo dossier di World Rugby, datato 2019, in Italia ci sono circa 80mila tesserati, a fronte di 96mila praticanti totali. La Federazione (Fir) ha saputo aprire le porte del prestigiosissimo torneo delle Cinque Nazioni, diventato appunto delle Sei Nazioni con l’ingresso dell’Italia nel 2000. Ma, dopo il momento di gloria, il mancato consolidamento del pubblico nuovo e meno esperto, unitamente al calo dei risultati della Nazionale, ha causato un drastico ridimensionamento del movimento.

Oggi, il rugby va sempre forte in regioni dove ha saputo costruirsi una tradizione, soprattutto al Nord, mentre nel resto del Paese è tornato a essere poco diffuso. Minore diffusione, però, non significa zero risultati. Un esempio è rappresentato dalle Zebre, il club di Parma che milita nello United Rugby Championship (Urc), il campionato interconfederale, molto celebre nel mondo anglosassone, con le migliori squadre gallesi, irlandesi, scozzesi e sudafricane; unica in Italia insieme alla Benetton di Treviso. Ci racconta quest’esperienza Rocco Ferrari, medico dello sport delle Zebre: «Il rugby è una disciplina altamente educativa per i ragazzi. Nel gioco, la squadra può procedere verso la meta solo grazie al pronto sostegno dei compagni. Questo insegna la collaborazione e la solidarietà: dentro e fuori dal campo», esordisce. Caratteristica principale – in un certo senso, il bello – del rugby è anche la sua fisicità, tradotta in azioni adrenaliniche e molto muscolari: la mischia, la touche, i placcaggi. Partite spettacolari, ma anche… ad alto rischio. È per questo che gli atleti della squadra traggono beneficio dall’utilizzo, sia preventivo sia post-infortunio, di tutori come il supporto per la spalla Act-100, la linea Fullfit e la ginocchiera elastica con anello rotuleo in silicone.

«La casistica degli infortuni è giocoforza maggiore nel rugby rispetto ad altre discipline», spiega ancora Ferrari. «Non tanto nel settore giovanile, quanto nelle categorie maggiori, dove la stazza dei giocatori diventa importante. In questo senso», prosegue, «per noi, i tutori sono presidi fondamentali, sia a livello preventivo sia durante il recupero da un infortunio». Le parti del corpo più colpite sono le ginocchia, le caviglie, le spalle e le mani: «Ovviamente, la preparazione stessa mira a potenziare i due elementi che consentono una maggiore resistenza: equilibrio e forza. Durante le partite tradizionalmente si usano le fasciature; ma i tutori permettono di affrontare con più serenità gli allenamenti. I match», relaziona il medico, «recano con sé in media tre o quattro infortuni. Fortunatamente», sottolinea, «non sempre si tratta di traumi che necessitano poi di intervento chirurgico. Diversi giocatori, una volta superata la fase acuta, continuano a portare il tutore per una maggiore sicurezza. L’utilità è indiscussa».

Ancor più particolare è l’american football: uno sport che giunge dall’altra parte dell’oceano e si diffuse in Italia negli anni Ottanta, grazie ai tornei fra le basi militari americane. A Verona, vanta 42 anni di storia il club dei Redskins, come racconta il presidente Moreno Fabbrica. «In quel primo periodo d’oro, in Italia ci fu un’ondata di entusiasmo per l’originalità e il “colore” di questa disciplina», ricorda. «Alcuni locali trasmettevano perfino le partite dei campionati americani. In seguito, l’interesse andò smorzandosi. La gente desidera ciò che vede; e se uno sport è poco visibile è anche penalizzato». «Eppure noi siamo attivi da un quarantennio, con oltre settanta ragazzi», puntualizza Fabbrica.
«Partiamo dalla categoria Under 15, che è ancora mista. Abbiamo avuto una squadra femminile che, per tre campionati di fila, nel 2004, 2005 e 2006, ci ha regalato la vittoria nazionale. Poi l’Under 18 e Under 21, con cui ci siamo aggiudicati la Coppa Italia, e infine i Senior». «È uno sport “pittoresco”, dal sapore americano, che esercita una prima attrattiva grazie alla vestizione con i caschi e le spalliere. Ed è anche una disciplina che regala legami fortissimi fra compagni di squadra. Ma», prosegue il presidente, «si deve superare lo scoglio dello scontro fisico. Che non è contatto; è proprio collisione». «Tuttavia, proprio in ragione delle protezioni, i contrasti non sono così cruenti come appaiono. Gli infortuni, che comunque si verificano, sono stiramenti e distorsioni; nei casi peggiori, la lesione dei legamenti. Conosciamo i punti di forza e di debolezza di ogni nostro giocatore e agiamo in maniera cautelativa, con la preparazione atletica e con i presidi sanitari». «Perciò», conclude, «per noi sono molto importanti i tutori: non solo nella fase di recupero post-traumatica, ma anche in ottica preventiva».

Tra rugby e football americano la rivincita degli sport “minori”

Rocco Ferrari, medico sportivo delle Zebre, e Moreno Fabbrica, presidente dei Redskins, raccontano il mondo della palla ovale. Spirito di squadra, disciplina e alta preparazione atletica. Ma quando il gioco si fa duro, vengono in aiuto i tutori Fgp.

intervistati pezzo portanteNon di solo calcio vive l’uomo, benché in Italia da due secoli questo sia lo sport nazionale. Il più praticato, tifato, e perciò anche il più raccontato dai media. Solo un dato per inquadrare il fenomeno: secondo l’ultimo rapporto Eurispes (2021), a livello dilettantistico e giovanile corrono dietro alla palla a esagoni ben 4,6 milioni di italiani, un under 35 ogni tre. Eppure, negli ultimi anni, la religione del pallone sta lasciando un po’ di posto a quelli che finora sono stati definiti “sport minori”, alcuni di nicchia. Interesse crescente stanno riscuotendo la pallavolo e la pallacanestro, che nel nostro Paese si giocano il secondo posto nella classifica delle discipline di squadra, entrambi con un numero di praticanti compreso fra 500mila e un milione, secondo i dati del Coni.

Ancora non godono della stessa rivincita, invece, altri nobili sport, come quello della palla ovale. Secondo l’ultimo dossier di World Rugby, datato 2019, in Italia ci sono circa 80mila tesserati, a fronte di 96mila praticanti totali. La Federazione (Fir) ha saputo aprire le porte del prestigiosissimo torneo delle Cinque Nazioni, diventato appunto delle Sei Nazioni con l’ingresso dell’Italia nel 2000. Ma, dopo il momento di gloria, il mancato consolidamento del pubblico nuovo e meno esperto, unitamente al calo dei risultati della Nazionale, ha causato un drastico ridimensionamento del movimento.

Oggi, il rugby va sempre forte in regioni dove ha saputo costruirsi una tradizione, soprattutto al Nord, mentre nel resto del Paese è tornato a essere poco diffuso. Minore diffusione, però, non significa zero risultati. Un esempio è rappresentato dalle Zebre, il club di Parma che milita nello United Rugby Championship (Urc), il campionato interconfederale, molto celebre nel mondo anglosassone, con le migliori squadre gallesi, irlandesi, scozzesi e sudafricane; unica in Italia insieme alla Benetton di Treviso. Ci racconta quest’esperienza Rocco Ferrari, medico dello sport delle Zebre: «Il rugby è una disciplina altamente educativa per i ragazzi. Nel gioco, la squadra può procedere verso la meta solo grazie al pronto sostegno dei compagni. Questo insegna la collaborazione e la solidarietà: dentro e fuori dal campo», esordisce. Caratteristica principale – in un certo senso, il bello – del rugby è anche la sua fisicità, tradotta in azioni adrenaliniche e molto muscolari: la mischia, la touche, i placcaggi. Partite spettacolari, ma anche… ad alto rischio. È per questo che gli atleti della squadra traggono beneficio dall’utilizzo, sia preventivo sia post-infortunio, di tutori come il supporto per la spalla Act-100, la linea Fullfit e la ginocchiera elastica con anello rotuleo in silicone.

«La casistica degli infortuni è giocoforza maggiore nel rugby rispetto ad altre discipline», spiega ancora Ferrari. «Non tanto nel settore giovanile, quanto nelle categorie maggiori, dove la stazza dei giocatori diventa importante. In questo senso», prosegue, «per noi, i tutori sono presidi fondamentali, sia a livello preventivo sia durante il recupero da un infortunio». Le parti del corpo più colpite sono le ginocchia, le caviglie, le spalle e le mani: «Ovviamente, la preparazione stessa mira a potenziare i due elementi che consentono una maggiore resistenza: equilibrio e forza. Durante le partite tradizionalmente si usano le fasciature; ma i tutori permettono di affrontare con più serenità gli allenamenti. I match», relaziona il medico, «recano con sé in media tre o quattro infortuni. Fortunatamente», sottolinea, «non sempre si tratta di traumi che necessitano poi di intervento chirurgico. Diversi giocatori, una volta superata la fase acuta, continuano a portare il tutore per una maggiore sicurezza. L’utilità è indiscussa».

Ancor più particolare è l’american football: uno sport che giunge dall’altra parte dell’oceano e si diffuse in Italia negli anni Ottanta, grazie ai tornei fra le basi militari americane. A Verona, vanta 42 anni di storia il club dei Redskins, come racconta il presidente Moreno Fabbrica. «In quel primo periodo d’oro, in Italia ci fu un’ondata di entusiasmo per l’originalità e il “colore” di questa disciplina», ricorda. «Alcuni locali trasmettevano perfino le partite dei campionati americani. In seguito, l’interesse andò smorzandosi. La gente desidera ciò che vede; e se uno sport è poco visibile è anche penalizzato». «Eppure noi siamo attivi da un quarantennio, con oltre settanta ragazzi», puntualizza Fabbrica.
«Partiamo dalla categoria Under 15, che è ancora mista. Abbiamo avuto una squadra femminile che, per tre campionati di fila, nel 2004, 2005 e 2006, ci ha regalato la vittoria nazionale. Poi l’Under 18 e Under 21, con cui ci siamo aggiudicati la Coppa Italia, e infine i Senior». «È uno sport “pittoresco”, dal sapore americano, che esercita una prima attrattiva grazie alla vestizione con i caschi e le spalliere. Ed è anche una disciplina che regala legami fortissimi fra compagni di squadra. Ma», prosegue il presidente, «si deve superare lo scoglio dello scontro fisico. Che non è contatto; è proprio collisione». «Tuttavia, proprio in ragione delle protezioni, i contrasti non sono così cruenti come appaiono. Gli infortuni, che comunque si verificano, sono stiramenti e distorsioni; nei casi peggiori, la lesione dei legamenti. Conosciamo i punti di forza e di debolezza di ogni nostro giocatore e agiamo in maniera cautelativa, con la preparazione atletica e con i presidi sanitari». «Perciò», conclude, «per noi sono molto importanti i tutori: non solo nella fase di recupero post-traumatica, ma anche in ottica preventiva».