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NUMERO 15
MAGGIO 2022

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NUMERO 15
MAGGIO 2022

INTERVISTA A: PROF. GIANCARLO ISAIA
PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE PER L'OSTEOPOROSI ONLUS

Osteoporosi: "Servono più dialogo
e collaborazione tra specialisti"

Il professore Giancarlo Isaia ricorda che oltre alle terapie farmacologiche vi sono strategie di prevenzione e trattamento di competenza fisiatrica e ortopedica poco conosciute e che invece gioverebbero ai pazienti.

dott giancarlo isaia presidente fondazione osteoporosi onlusNel trattamento dell'osteoporosi, l'approccio multidisciplinare aiuta a fornire una visione completa degli aspetti clinici più rilevanti, ma la percezione diffusa è che manchi un vero dialogo tra specialisti. Lei cosa ne pensa?
Non c’è dubbio che l’osteoporosi, che è una malattia caratterizzata da alterazioni scheletriche sia di ordine metabolico che meccanico, necessita, per un trattamento adeguato, di un approccio multidisciplinare che veda il concorso di medici esperti in metabolismo come endocrinologi, internisti, geriatri, reumatologi, ma anche di esperti di problemi meccanici come ortopedici e fisiatri. Purtroppo, come ho avuto modo di verificare durante il mio biennio di presidenza della SIOMMMS (Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro) manca in Italia, ma non solo, un proficuo dialogo ed un’efficace collaborazione fra i diversi specialisti a cui si rivolgono i pazienti affetti da osteoporosi. Abbiamo cercato di superare tale importante criticità con la costituzione di una commissione intersocietaria, da me coordinata, ed abbiamo messo attorno a un tavolo endocrinologi, internisti, geriatri, fisiatri, ortopedici, reumatologi e medici di medicina generale. Abbiamo anche prodotto alcuni documenti che poi sono stati diffusi dalle rispettive società di riferimento, ma, a distanza di qualche anno, i risultati pratici non si possono dire completamente soddisfacenti.

Nell’ambito della prevenzione e della gestione della malattia, accanto alle terapie farmacologiche esistono soluzioni ortopediche che, con fondamento scientifico, hanno dimostrato di poter essere di supporto ai pazienti. Capita però di frequente che alcuni medici non ne tengano conto, per sensibilità o mancanza di conoscenza: c’è secondo Lei un pregiudizio da sfatare?
In generale l’approccio preventivo alle malattie croniche è sottovalutato dai medici che hanno ricevuto una formazione maggiormente orientata in senso terapeutico e farmacologico. Per quanto riguarda la gestione dell’osteoporosi, oltre alle terapie farmacologiche vi sono strategie di prevenzione e di trattamento di competenza fisiatrica e ortopedica che giovano certamente ai pazienti e che dovrebbero essere maggiormente utilizzate. Più che di un pregiudizio, parlerei di scarsa conoscenza di soluzioni riabilitative che, a basso costo, possono condurre a soluzioni veramente importanti e ad un sensibile miglioramento della qualità di vita dei pazienti.

Qual è, a Suo avviso, il miglior approccio al paziente?
La mia esperienza pluriennale nella gestione di pazienti con osteoporosi mi consente di suggerire ai colleghi, anche in riferimento alle specifiche linee guida nazionali e internazionali, che il primo approccio al paziente in cui si sospetta la diagnosi di osteoporosi deve essere di tipo strumentale e consiste nell'esecuzione di una densitometria ossea (MOC) a livello lombare e femorale. Successivamente, una volta stabilito che la paziente, perché trattasi prevalentemente di donne, è affetta da osteoporosi, occorre valutarne il rischio fratturativo ricorrendo sistematicamente agli algoritmi validati come il FRAX o il DeFRA che, con una modalità di intelligenza artificiale, consentono di indirizzarla verso una strategia di prevenzione, oppure prescrivere una terapia farmacologica. Contemporaneamente occorre anche escludere, o confermare, una forma di osteoporosi secondaria, determinata cioè da alcune patologie che frequentemente, fra gli altri sintomi, inducono una decalcificazione dello scheletro: mi riferisco all’iperparatiroidismo, all’ipertiroidismo, all’ipercorticosurrealismo, a varie patologie caratterizzate da malassorbimento intestinale, la più frequente delle quali è la celiachia, all’assunzione di vari farmaci con documentato effetto negativo sulle ossa. Ovviamente, qualora una di queste condizioni venisse confermata occorrerà curarla adeguatamente, mentre, se non sarà confermata, si può formulare la diagnosi di osteoporosi primitiva e ricorrere ai numerosi farmaci che sono a disposizione e che sono stati dimostrati, con procedure di rigorosa Evidence Based Medicine, efficaci per contrastare e ridurre le fratture da osteoporosi.

Dal vostro campo di visuale, che cosa chiedono i pazienti?
E in che direzione bisogna andare per contrastare in modo sempre più efficace questa “pandemia silenziosa”?

I pazienti sono sempre più aggiornati e informati sui pericoli per la loro salute che potrebbero essere indotti da una frattura, anche di un osso periferico come il polso, ma ancora di più dalle vertebre o dal femore. La Fondazione per l’Osteoporosi Onlus, da me presieduta, riceve continuamente richieste di informazioni finalizzate a conoscere i centri specialistici più qualificati sul territorio nazionale, ma anche le migliori strategie di prevenzione e di utilizzo dei vari farmaci che sono assai efficaci e in grado di ridurre di circa il 50% l’insorgenza di fratture; anche se presentano, non frequentemente, qualche effetto collaterale che un medico esperto può gestire senza problemi, modulandone la dose, la via di somministrazione o ricorrendo ad altri farmaci con diversi meccanismi di azione. Questi farmaci, per produrre soddisfacenti risultati, devono essere somministrati per anni, sempre sotto controllo medico.

Osteoporosi: "Servono più dialogo e collaborazione tra specialisti"

Il professore Giancarlo Isaia ricorda che oltre alle terapie farmacologiche vi sono strategie di prevenzione e trattamento di competenza fisiatrica e ortopedica poco conosciute e che invece gioverebbero ai pazienti.

dott giancarlo isaia presidente fondazione osteoporosi onlusNel trattamento dell'osteoporosi, l'approccio multidisciplinare aiuta a fornire una visione completa degli aspetti clinici più rilevanti, ma la percezione diffusa è che manchi un vero dialogo tra specialisti. Lei cosa ne pensa?
Non c’è dubbio che l’osteoporosi, che è una malattia caratterizzata da alterazioni scheletriche sia di ordine metabolico che meccanico, necessita, per un trattamento adeguato, di un approccio multidisciplinare che veda il concorso di medici esperti in metabolismo come endocrinologi, internisti, geriatri, reumatologi, ma anche di esperti di problemi meccanici come ortopedici e fisiatri. Purtroppo, come ho avuto modo di verificare durante il mio biennio di presidenza della SIOMMMS (Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro) manca in Italia, ma non solo, un proficuo dialogo ed un’efficace collaborazione fra i diversi specialisti a cui si rivolgono i pazienti affetti da osteoporosi. Abbiamo cercato di superare tale importante criticità con la costituzione di una commissione intersocietaria, da me coordinata, ed abbiamo messo attorno a un tavolo endocrinologi, internisti, geriatri, fisiatri, ortopedici, reumatologi e medici di medicina generale. Abbiamo anche prodotto alcuni documenti che poi sono stati diffusi dalle rispettive società di riferimento, ma, a distanza di qualche anno, i risultati pratici non si possono dire completamente soddisfacenti.

Nell’ambito della prevenzione e della gestione della malattia, accanto alle terapie farmacologiche esistono soluzioni ortopediche che, con fondamento scientifico, hanno dimostrato di poter essere di supporto ai pazienti. Capita però di frequente che alcuni medici non ne tengano conto, per sensibilità o mancanza di conoscenza: c’è secondo Lei un pregiudizio da sfatare?
In generale l’approccio preventivo alle malattie croniche è sottovalutato dai medici che hanno ricevuto una formazione maggiormente orientata in senso terapeutico e farmacologico. Per quanto riguarda la gestione dell’osteoporosi, oltre alle terapie farmacologiche vi sono strategie di prevenzione e di trattamento di competenza fisiatrica e ortopedica che giovano certamente ai pazienti e che dovrebbero essere maggiormente utilizzate. Più che di un pregiudizio, parlerei di scarsa conoscenza di soluzioni riabilitative che, a basso costo, possono condurre a soluzioni veramente importanti e ad un sensibile miglioramento della qualità di vita dei pazienti.

Qual è, a Suo avviso, il miglior approccio al paziente?
La mia esperienza pluriennale nella gestione di pazienti con osteoporosi mi consente di suggerire ai colleghi, anche in riferimento alle specifiche linee guida nazionali e internazionali, che il primo approccio al paziente in cui si sospetta la diagnosi di osteoporosi deve essere di tipo strumentale e consiste nell'esecuzione di una densitometria ossea (MOC) a livello lombare e femorale. Successivamente, una volta stabilito che la paziente, perché trattasi prevalentemente di donne, è affetta da osteoporosi, occorre valutarne il rischio fratturativo ricorrendo sistematicamente agli algoritmi validati come il FRAX o il DeFRA che, con una modalità di intelligenza artificiale, consentono di indirizzarla verso una strategia di prevenzione, oppure prescrivere una terapia farmacologica. Contemporaneamente occorre anche escludere, o confermare, una forma di osteoporosi secondaria, determinata cioè da alcune patologie che frequentemente, fra gli altri sintomi, inducono una decalcificazione dello scheletro: mi riferisco all’iperparatiroidismo, all’ipertiroidismo, all’ipercorticosurrealismo, a varie patologie caratterizzate da malassorbimento intestinale, la più frequente delle quali è la celiachia, all’assunzione di vari farmaci con documentato effetto negativo sulle ossa. Ovviamente, qualora una di queste condizioni venisse confermata occorrerà curarla adeguatamente, mentre, se non sarà confermata, si può formulare la diagnosi di osteoporosi primitiva e ricorrere ai numerosi farmaci che sono a disposizione e che sono stati dimostrati, con procedure di rigorosa Evidence Based Medicine, efficaci per contrastare e ridurre le fratture da osteoporosi.

Dal vostro campo di visuale, che cosa chiedono i pazienti?
E in che direzione bisogna andare per contrastare in modo sempre più efficace questa “pandemia silenziosa”?

I pazienti sono sempre più aggiornati e informati sui pericoli per la loro salute che potrebbero essere indotti da una frattura, anche di un osso periferico come il polso, ma ancora di più dalle vertebre o dal femore. La Fondazione per l’Osteoporosi Onlus, da me presieduta, riceve continuamente richieste di informazioni finalizzate a conoscere i centri specialistici più qualificati sul territorio nazionale, ma anche le migliori strategie di prevenzione e di utilizzo dei vari farmaci che sono assai efficaci e in grado di ridurre di circa il 50% l’insorgenza di fratture; anche se presentano, non frequentemente, qualche effetto collaterale che un medico esperto può gestire senza problemi, modulandone la dose, la via di somministrazione o ricorrendo ad altri farmaci con diversi meccanismi di azione. Questi farmaci, per produrre soddisfacenti risultati, devono essere somministrati per anni, sempre sotto controllo medico.

Osteoporosi: "Servono più dialogo e collaborazione tra specialisti"

Il professore Giancarlo Isaia ricorda che oltre alle terapie farmacologiche vi sono strategie di prevenzione e trattamento di competenza fisiatrica e ortopedica poco conosciute e che invece gioverebbero ai pazienti.

dott giancarlo isaia presidente fondazione osteoporosi onlus

Nel trattamento dell'osteoporosi, l'approccio multidisciplinare aiuta a fornire una visione completa degli aspetti clinici più rilevanti, ma la percezione diffusa è che manchi un vero dialogo tra specialisti. Lei cosa ne pensa?
Non c’è dubbio che l’osteoporosi, che è una malattia caratterizzata da alterazioni scheletriche sia di ordine metabolico che meccanico, necessita, per un trattamento adeguato, di un approccio multidisciplinare che veda il concorso di medici esperti in metabolismo come endocrinologi, internisti, geriatri, reumatologi, ma anche di esperti di problemi meccanici come ortopedici e fisiatri. Purtroppo, come ho avuto modo di verificare durante il mio biennio di presidenza della SIOMMMS (Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro) manca in Italia, ma non solo, un proficuo dialogo ed un’efficace collaborazione fra i diversi specialisti a cui si rivolgono i pazienti affetti da osteoporosi. Abbiamo cercato di superare tale importante criticità con la costituzione di una commissione intersocietaria, da me coordinata, ed abbiamo messo attorno a un tavolo endocrinologi, internisti, geriatri, fisiatri, ortopedici, reumatologi e medici di medicina generale. Abbiamo anche prodotto alcuni documenti che poi sono stati diffusi dalle rispettive società di riferimento, ma, a distanza di qualche anno, i risultati pratici non si possono dire completamente soddisfacenti.

Nell’ambito della prevenzione e della gestione della malattia, accanto alle terapie farmacologiche esistono soluzioni ortopediche che, con fondamento scientifico, hanno dimostrato di poter essere di supporto ai pazienti. Capita però di frequente che alcuni medici non ne tengano conto, per sensibilità o mancanza di conoscenza: c’è secondo Lei un pregiudizio da sfatare?
In generale l’approccio preventivo alle malattie croniche è sottovalutato dai medici che hanno ricevuto una formazione maggiormente orientata in senso terapeutico e farmacologico. Per quanto riguarda la gestione dell’osteoporosi, oltre alle terapie farmacologiche vi sono strategie di prevenzione e di trattamento di competenza fisiatrica e ortopedica che giovano certamente ai pazienti e che dovrebbero essere maggiormente utilizzate. Più che di un pregiudizio, parlerei di scarsa conoscenza di soluzioni riabilitative che, a basso costo, possono condurre a soluzioni veramente importanti e ad un sensibile miglioramento della qualità di vita dei pazienti.

Qual è, a Suo avviso, il miglior approccio al paziente?
La mia esperienza pluriennale nella gestione di pazienti con osteoporosi mi consente di suggerire ai colleghi, anche in riferimento alle specifiche linee guida nazionali e internazionali, che il primo approccio al paziente in cui si sospetta la diagnosi di osteoporosi deve essere di tipo strumentale e consiste nell'esecuzione di una densitometria ossea (MOC) a livello lombare e femorale. Successivamente, una volta stabilito che la paziente, perché trattasi prevalentemente di donne, è affetta da osteoporosi, occorre valutarne il rischio fratturativo ricorrendo sistematicamente agli algoritmi validati come il FRAX o il DeFRA che, con una modalità di intelligenza artificiale, consentono di indirizzarla verso una strategia di prevenzione, oppure prescrivere una terapia farmacologica. Contemporaneamente occorre anche escludere, o confermare, una forma di osteoporosi secondaria, determinata cioè da alcune patologie che frequentemente, fra gli altri sintomi, inducono una decalcificazione dello scheletro: mi riferisco all’iperparatiroidismo, all’ipertiroidismo, all’ipercorticosurrealismo, a varie patologie caratterizzate da malassorbimento intestinale, la più frequente delle quali è la celiachia, all’assunzione di vari farmaci con documentato effetto negativo sulle ossa. Ovviamente, qualora una di queste condizioni venisse confermata occorrerà curarla adeguatamente, mentre, se non sarà confermata, si può formulare la diagnosi di osteoporosi primitiva e ricorrere ai numerosi farmaci che sono a disposizione e che sono stati dimostrati, con procedure di rigorosa Evidence Based Medicine, efficaci per contrastare e ridurre le fratture da osteoporosi.

Dal vostro campo di visuale, che cosa chiedono i pazienti?
E in che direzione bisogna andare per contrastare in modo sempre più efficace questa “pandemia silenziosa”?

I pazienti sono sempre più aggiornati e informati sui pericoli per la loro salute che potrebbero essere indotti da una frattura, anche di un osso periferico come il polso, ma ancora di più dalle vertebre o dal femore. La Fondazione per l’Osteoporosi Onlus, da me presieduta, riceve continuamente richieste di informazioni finalizzate a conoscere i centri specialistici più qualificati sul territorio nazionale, ma anche le migliori strategie di prevenzione e di utilizzo dei vari farmaci che sono assai efficaci e in grado di ridurre di circa il 50% l’insorgenza di fratture; anche se presentano, non frequentemente, qualche effetto collaterale che un medico esperto può gestire senza problemi, modulandone la dose, la via di somministrazione o ricorrendo ad altri farmaci con diversi meccanismi di azione. Questi farmaci, per produrre soddisfacenti risultati, devono essere somministrati per anni, sempre sotto controllo medico.